I genitori sono sempre speciali.
Quando raccontano, quando appuntano qualche ricordo, qualche osservazione, sembrano dimenticare tutto il brutto, le ansie, le angosce, la disperazione del non sapere cosa fare,
del non sapere a chi chiedere aiuto.
È come se volessero proteggere i propri figli presentandoli meglio di quello che sono, renderli più accettabili camuffando la realtà.
Ne escono dei racconti dove, alla disperata ricerca di comprensione, la sofferenza è sostituita da un atteggiamento garbato, affettuoso. Ne escono racconti qualche volta paradossalmente comici,
perché dell'autismo se si è protagonisti ci si può anche permettere di sorridere.
"Cosa posso fare a casa per essere di aiuto?
"Faccia la mamma!"
"Certo, il mio compito era fare la mamma. Io sognavo di fare la mamma, ma avevo bisogno che qualcuno mi
insegnasse ad essere la mamma di una bambina autistica.
Dove si impara?"
Era novembre inoltrato, cominciava a fare buio, erano circa le 17,30. Ebbi l'idea di chiedere a mio figlio,
ormai quindicenne, di aiutarmi a chiudere le tapparelle di casa. Mi sembrò un compito adatto a lui e sembrava
svolgerlo volentieri, anzi da quel giorno prese a considerarlo un suo dovere esclusivo, un suo diritto acquisito.
Niente di male, tutto sommato era un servizio utile che svolgeva con scrupolosa precisione.
Ma la precisione comprendeva anche il rispetto assoluto dell'orario e così alle 17,30 in punto ci trovavamo
sbarrati in casa, con le luci accese, anche nei mesi più luminosi.
Impossibile fargli cambiare orario, ogni volta lo avrebbe preso come un rimprovero o lo avrebbe sentito come un suo non essere all'altezza della situazione.
Si sarebbe isolato senza bere e senza mangiare per giorni e poi avrebbe riaffrontato il suo compito
rigorosamente alle 17,30 (non sbagliava mai, pur non sapendo leggere l'orologio).
Occorreva una causa di forza maggiore. Ci inventammo di dare la colpa all'autorità comunale. Elettrificammo
tutti i comandi delle tapparelle con interruttori a chiave e spiegammo che l'alimentazione elettrica era regolata dal
Comune in coincidenza con l'accensione dell'illuminazione stradale.
Per più di cinque anni, fino al suo ingresso a Cascina Rossago (dove non ci sono le tapparelle),
mio figlio dopo le fatidiche 17,30, qualsiasi cosa stesse facendo, continuamente controllava
le luci in strada per precipitarsi a prendere la chiave e fare scendere le tapparelle con sua
grande soddisfazione e nostra buona pace.
Che stupida, non volevo vedere, mentivo a me stessa, desideravo così tanto la normalità da non essere in grado di ascoltare quel silenzio infinito che lentamente scendeva
come una nebbia fitta sulle sue giornate.
Guardavo quegli occhi cercando di cogliervi dei messaggi criptati e mi perdevo nelle stereotipie, un ripetersi infinito di movimenti uguali,
tanto da rivivere lo stesso istante cento, mille volte.
Forse mia figlia urlava "prenditi cura di me", ma io continuavo a non sentirla e le lanciavo una fune proponendole nuovi giochi,
nuove distrazioni nel tentativo di vederla sorridere.
Ma la mia fune finiva lontana da lei e non la raggiungeva mai, lei correva in una direzione diversa da quella che mi aspettavo.
Ma un altro giorno era passato.
Al cinema con vostro figlio, un ragazzone di un metro e novantasette per circa cento chili, vi è mai capitato di guardarvi intorno e rendervi conto che gli altri genitori accompagnano
ragazzini di quattro o cinque anni e che voi, seduti lì in mezzo alla sala, impedite la visuale ad almeno dieci file di bambini?
Andando a comprare delle calze, vi è mai capitato, notando lo sguardo allarmato della commessa, di girarvi e scoprire vostro figlio affettuosamente abbracciato ad un manichino?
Con l'autismo capita.
Ci vuole molta pazienza e molta fantasia per stare con te.
A essere onesti più fantasia che pazienza.
Non so chi saresti senza il tuo autismo.
Ho provato a immaginarti: studente, laureato, innamorato, papà.
Non ci riesco, sei sempre il grande gigante gentile, preciso e ordinato, scrupoloso e premuroso.
Sei un cartone animato vivente.
Eravamo in vacanza in Val di Sole e stavamo salendo verso la cima del Vioz. Non ricordo per quale motivo, ad un certo punto lo rimproverai. La prese male, gli parve ingiusto e reagì
in un brutto modo come qualche volta fa quando è molto contrariato. Mi sputò addosso.
Un po' meno allegramente, la gita proseguì, raggiungemmo la cima, e ritornammo per lo stesso sentiero dove avevamo lasciato l'automobile.
Si girò di scatto e prese spedito a risalire, con me dietro preoccupato ed ansimante. Raggiunto il punto esatto dove aveva sputato, quasi a metà della salita,
finalmente si fermò, si voltò e con un'espressione irresistibile se ne uscì "scusa papà, non sputo più".
Alcune volte ho pensato che rendersi conto gli faccia male.
Alcune volte ho pensato che forse non se ne rende conto.
Alcune volte ho pensato che gli basta quello che ha.
Alcune volte ho smesso di pensare.
È l'essere più puro che conosco. Non concepisce la menzogna, ogni tanto ci prova, ma è talmente prevedibile che a lui stesso viene da ridere. È bloccato in una maniacale
rigidità di scadenze, di date e di programmi che assolutamente vanno rispettati, ma al tempo stesso non ha limiti o barriere. È curioso, vuole conoscere, è indiscreto.
Corre incontro agli sconosciuti e chiede a bruciapelo "come ti chiami? Dove abiti?". Le persone si spaventano. Poi è grande, molto grande e le persone si spaventano ancora di più.
Quando passeggiamo io e lui, lo tengo legato con un filo invisibile che allungo o accorcio a mio piacimento. Lo lascio se mi sembra in situazioni sicure, lo ritiro subito
se mi sembra esserci qualche difficoltà. Lui cerca sempre il mio sguardo per avere un cenno di consenso, io a volte penso che alla sua età non sia giusto,
ma questo sembra renderlo più sicuro, o forse rende più sicura solo me.
E' un grande poeta bizzarro.
Grandi tesori i fratelli, un po' gelosi e un po' cupi per le attenzioni che vedono indirizzate altrove, eppure così protettivi,
comprensivi e dolci quando percepiscono la difficoltà, la fragilità o il malessere dei loro cari.
Poveri fratelli, costretti a crescere troppo in fretta, costretti a confrontarsi con situazioni troppo gravose per chiunque.
Non lo dicono, ma sicuramente qualche volta pensano "e io?", ma lo dimenticano immediatamante.
I nostri ragazzi sono imprevedibili e velocissimi, spesso la nostra attenzione, un po' affaticata, non arriva in tempo. Le occhiate degli altri sono
terribili piene di disapprovazione e di rimprovero.
In genere poi però intuiscono qualcosa, lo sguardo passa su di noi e con un accenno di sorriso sembrano dire "non si preoccupi, ho capito".
Altri invece, sempre guardando noi, non cambiano espressione e ci fanno intendere "ma non potevate starvene a casa vostra?".
Ecco la soluzione, come ho fatto a non pensarci.
Fra qualche giorno andrai a vivere nella tua nuova grande casa. Nel tuo modo un po' speciale sei diventato grande.
Sempre più frequentemente mostri di stare stretto nell'affettuoso recinto che un po' inconsciamente e un po' per comodo ti abbiamo costruito intorno.
Nella semplicità di tanti gesti quotidiani, nell'ostinazione di tante piccole disobbedienze, forse senza consapevolezza, sembri affermare una tua autonomia,
una tua indipendenza che purtroppo quasi mai riesci a gestire fino in fondo.
Ora c'è la tua nuova casa. Ci saranno altre persone che ti aiuteranno e ti insegneranno cose nuove e forse ti vorranno bene. È in campagna in un posto bellissimo.
Non sarai più disturbato dalle cose che ti spaventano: il traffico, la folla, i luoghi ed i rumori sconosciuti.
Faremo un po' fatica, tanta fatica, ma ce la faremo.
Non me ne sarei mai andata, l'avrei amata per sempre prendendomi cura di lei.
Un sogno, una grande bugia, un giorno avrei dovuto inevitabilmente lasciarla. Un pensiero terribile, quando arrivava mi toglieva il respiro.
Cercavo qualcosa, qualcuno di cui fidarmi al quale affidare il mio tesoro, quel tesoro che ho sempre protetto e che doveva crescere, doveva imparare a muoversi senza di noi.
Pensavo che non ci fosse niente da fare e invece eccola qui, una culla nel verde delle colline, custodita da persone come noi e poi da altre persone come noi e poi da altre ancora.
Può esserci un futuro sereno anche per mia figlia.
Quel giorno drammatico che tutti noi genitori di figli indifesi sogniamo nei nostri peggiori incubi, quel giorno quando non ci saremo più e non ci sarà più
nessuno a prendergli la mano per attraversare una strada, non ci sarebbe più stato.
La Fondazione e Cascina Rossago con tutta la loro competenza e la loro tenerezza avrebbero adottato questi fantastici tesori garantendo
una continuità che nessun genitore è in grado di offrire.
E poi è arrivato il Covid 19.
A Cascina hanno intuito immediatamente la gravità del pericolo di contagio, sono corsi ai ripari per tempo impostando
severissimi protocolli di sicurezza. Gli ospiti non possono uscire ed i visitatori (genitori) non possono entrare. Hanno
addirittura anticipato le disposizioni dell'autorità sanitaria locale e probabilmente hanno fatto bene. Fino ad
ora, sono scaramantico ed ho paura a scriverlo: il contagio è rimasto fuori.
Non riesco nemmeno ad immaginare come si potrebbero tenere in isolamento i nostri "ex ragazzi". Ancora peggio, cosa succederebbe
in caso di ricovero in ospedale.
Non ho potuto incontrare mio figlio da marzo fino a fine giugno. Qualche video-chiamata e qualche bella fotografia
che gli operatori di Cascina trovavano il tempo di farci avere per tranquillizzarci e mostrarci che la vita proseguiva
più o meno normalmente. Dopo abbiamo potuto vederci per brevissimi incontri, noi con mascherina, all'aperto e
nelle immediate vicinanze di Cascina.
Poi, ad agosto, finalmente una breve vacanza di qualche giorno con test di controllo al rientro. Ora, siamo alla fine di ottobre,
è ricominciato tutto daccapo, dall'inizio del mese siamo in piena "seconda ondata". Cascina Rossago è nuovamente sigillata e questa
volta si teme che sarà più lunga.
Abbiamo ricominciato con le video-chiamate e lo scambio di fotografie. Non so quando potremo riabbracciarlo, forse per Natale.
Ormai sono anni che vive a Cascina, ma sapere che non possiamo incontrarlo è terribile. Crea una sensazione di vuoto che ti
devasta quotidianamente, non solo il vuoto dei fine settimana quando, prima, lo portavamo a casa. Eppure il mio "ex ragazzo" ha
saputo trovare delle risorse, attuare dei comportamenti, appoggiarsi a qualche realtà che lo ha aiutato a non soffrire troppo
questa nuova situazione. Me lo hanno confermato da Cascina, spero non solo per tranquillizzarmi, e credo di averlo potuto
verificare anch'io nel corso dei brevi incontri della scorsa estate, dai sorrisi sinceri, anche se a metà fra il sornione e
l'imbarazzato, durante le video-chiamate, dalle fotografie dove appare non in posa, ma realmente allegro. Sembra che la sua vita
prosegua in un'atmosfera di ragionevole serenità.
So che non è la stessa cosa per tutti gli ospiti di Cascina, qualcuno soffre, dà segni di forte disagio. Fortunatamente non tanti.
Il maledetto virus ci sta anticipando una realtà con la quale prima o poi dovremo obbligatoriamente scontrarci. Il maledetto virus
ci sta imponendo una sorta di prova generale del "dopo di noi".
Non nascondo che, pur nell'angoscia di questo brutto periodo, nella tristezza di questo rapporto affettivo artificialmente interrotto,
mi ritrovo a guardare al futuro con meno ansia. Cascina Rossago funziona.
Ho potuto verificare che mio figlio sembra avere raggiunto una sua autonomia, sembra sapere condurre una sua vita relativamente
tranquilla anche senza mamma e papà. Ed anche il forte disagio che altri "ex ragazzi" mostrano, è forse da leggere come un segnale
di dove bisogna ancora intervenire. Dove occorre ancora lavorare sul processo di accompagnamento al distacco dai genitori. Un processo delicato e
difficile che tuttavia i genitori per primi devono accettare, superando l'inevitabile sofferenza ed imparando ad avere fiducia nelle risorse inaspettate
che sicuramente i loro figli sapranno scovare e nella competenza di chi li ha in custodia.
E fiducia bisogna avere anche nella Fondazione Genitori per l'Autismo ed in Cascina Rossago, che insieme costituiscono una
macchina meravigliosa capace davvero di creare ed offrire ai suoi ospiti opportunità di vita insperate. Ed è mantenendo e
migliorando i meccanismi di questa macchina e sostenendo lo sforzo di chi la fa funzionare che potremo concretamente esprimere
il nostro amore per questi figli speciali, grandi ed indifesi.
Volevo scrivere tante cose, ma non dirò molto.
Stavo anche dimenticandomi il tuo compleanno. Me l'hanno ricordato, ma sicuramente oggi ci sarei arrivata anche da sola.
Madre snaturata? Sì, forse, o forse la tranquillità che mi sta dando la tua situazione a Cascina ha reso possibile anche questo.
Che poi, se ci penso bene, è un successo.
Prima eri sempre ossessivamente nei miei pensieri. Ci sei ancora, ma con più dolcezza e meno ansia.
Auguri caro, ventun anni e la vita stravolta, accettata, rinnegata, riaccettata e ancora e ancora.
Ora il dolore stemperato in un sorriso grande come il tuo mistero.
Grazie a Cascina Rossago ed a tutti i tuoi magnifici angeli custod
Siamo i genitori di Gianluca, il nostro unico figlio che non potremo più abbracciare. Quella
che raccontiamo è la storia della sua breve, ma tanto intensa vita che si è fermata il 5
maggio 2016.
Gianluca ha sofferto di epilessia fin dai primi mesi di vita. Tutto è iniziato nel maggio 1981,
con una crisi convulsiva: aveva solo 3 mesi. Nel maggio 2016 un’ultima e tremenda crisi
ce l’ha portato via. Questa perfida malattia gli ha regalato un ritardo mentale, con tratti di
autismo, ma non gli ha impedito di imparare tante cose, di avere tante emozioni e di
donare tanto amore.
Noi genitori abbiamo sempre lavorato. Non volevamo far mancare niente a Gianluca, e poi
lavorare consentiva a noi di "respirare" un po’ e a Gianluca di conoscere persone con le
quali stabilire dei rapporti, cosa che per lui non era così scontata. Tutto era fatto in
funzione sua, e il tempo libero non sapevamo cosa fosse.
Correvamo sempre, come pazzi, in tutta la città, per portarlo a ippoterapia, musicoterapia,
terapia comportamentale. Poi mi sono ammalata anch’io, di una malattia rara, che
richiedeva ricoveri ospedalieri sempre più lunghi. E’ stato così che abbiamo conosciuto
altri genitori che, come noi, si ponevano il problema del “dopo di noi”. Insieme abbiamo
costituito una Fondazione e dato vita a una struttura che potesse essere la casa dei nostri
figli per quando noi genitori non ci saremmo più stati.
Un notevole impegno, anche economico, ma finalmente avevamo ripreso a fare progetti,
non più da soli, e riuscivamo a vedere un po’ di luce nel nostro futuro. Gianluca aveva
gradito la scelta di andare a vivere in campagna e anche noi, dopo circa 20 anni vissuti a
correre. Finalmente, nel maggio 2002, è stata inaugurata “Cascina Rossago”, la struttura
pensata per il "dopo di noi". Gianluca ne era diventato l’anima. Con il suo carattere gioviale,
spesso spigoloso, era spiritoso e aveva sempre una parola per tutti. Riusciva a
coinvolgere gli altri ospiti in attività in cui non riuscivano nemmeno gli educatori. Era
sempre sorridente, e capace di fare personalissime battute di spirito. Anche noi genitori
avevamo trovato una dimensione di vita più sostenibile. Ma le cose non sono andate come
ci saremmo aspettati. E cioè che Gianluca sarebbe invecchiato, e noi con lui. Ci
chiedevamo spesso se lui ci avrebbe cercato, tra una decina di anni. Siamo ora noi a
cercare lui.
In mezzo ci sono stati 35 anni di vita vissuta intensamente e piena d’amore. Noi
credevamo che Gianluca avesse bisogno di noi e abbiamo scoperto, solo ora, che noi
avevamo e abbiamo bisogno di lui. La sua esistenza era lo scopo della nostra vita. A noi
genitori ha donato le sue risate, la sua testardaggine, i suoi abbracci fortissimi e, a volte,
anche le sue parolacce. Aveva occhi bellissimi e con quelli comunicava tutte le sue
emozioni. Non ci stancavamo mai di dirgli quanto lo amavamo.
Amava tantissimo "Il Re Leone", aprire gli ovetti per vedere la sorpresa, guardare i cartoni
animati e la Formula uno. Abbiamo scritto queste cose perché Gianluca merita che il suo
ricordo possa essere condiviso. Essere i genitori di un ragazzo speciale, è stata una cosa
bellissima che ci ha riempito il cuore e la vita.